Il Riuso dell’Antico

Il recupero del tardoantico nel Tempietto di Cappello sul Clitunno e nella basilica di San Salvatore a Spoleto.

Il Tempietto di Campello sul Clitunno è una delle più importanti testimonianze del riuso consapevole dell’Antico in età longobarda, e favorisce la lettura di linee tematiche comuni nel territorio di riferimento.
Nella vicina Spoleto, capitale del Ducato, il ricorso frequente al reimpiego consente di seguire un itinerario cittadino che culmina nella chiesa di San Salvatore, testimone, al pari del Tempietto, di un recupero intenzionale e politico dell’Antico, e nella salita al Museo Nazionale del Ducato, dove alcuni reperti evidenziano la persistenza ancora in età romanica di questa tendenza.
É necessario operare una distinzione tra il recupero intenzionale di spolia con finalità ben precise, e il recupero privo di qualsiasi programma ideologico, da intendersi quindi come semplice reimpiego di materiale edilizio già disponibile; in questa seconda accezione rientrano ad esempio le strutture messe in opera nei basamenti delle nuove costruzioni.
Il Tempietto, edificato su un sacello preesistente lungo il corso del fiume Clitunno impiegando materiali provenienti dagli edifici romani distribuiti sui colli circostanti, costituisce, con San Salvatore a Spoleto, la tangibile testimonianza del reimpiego come mezzo scelto dalle élites longobarde per qualificare la loro posizione sociale e legittimare il loro potere, ponendosi così come eredi della civiltà e della cultura classici.

Data: 18/12/2018 – 10/06/2019
Regione: Umbria
Città: Campello sul Clitunno e Spoleto
Tema: il reimpiego

Il progetto “Longobardi in vetrina” nasce dalla volontà di far conoscere e dialogare i musei, che ciascuno dei sette luoghi della rete del sito seriale (Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio-Torba, Spoleto,  Campello sul Clitunno, Benevento, Monte Sant’Angelo) con altri musei nazionali non appartenenti alla rete ma dotati di una sezione longobarda o altomedievale.

Questo incontro si è realizzato attraverso 7 esposizioni tematiche articolate nelle 15 sedi tra cui:

Tempietto del Clitunno
Il Tempietto sul Clitunno, piccolo sacello a forma di tempio, è un edificio composto da elementi architettonici di età romana reimpiegati. L’interno presenta un’abside decorata dove si uniscono scultura a rilievo e affreschi di tema cristiano datati all’VIII secolo d.C.

Museo Nazionale del Ducato di Spoleto
Dal 2007 il Museo Nazionale è il luogo della narrazione dello sviluppo storico, politico e culturale del Ducato di Spoleto, strumento adeguato alla conoscenza della città e del territorio, presenta una collezione che va dal IV al XV secolo d.C.

 

Un tempio, che sembra proprio un tempio antico. Ha colonne antiche, un frontone con timpano, un’iscrizione che corre lungo la facciata. Attorno le fonti d’acqua sono arcaiche dimore di ninfe e satiri, celebrati dalla notte dei tempi.

È facile immaginare un corteo di giovani e giovinette che portano al sacello offerte ad antichi dei pagani, ai tempi dell’apogeo dell’impero. Ma è un altro il corteo che va immaginato di fronte a quel tempio. Quello di artigiani ed operai longobardi, laboriosi ed intenti a portare fin lì e innalzare di nuovo pietre e marmi e colonne romane, recuperate da altri luoghi vicini. Attorno colpi di martello, urla di capimastri che danno ordini, rumori di cantiere. 
E loro, i Longobardi, che restaurano e riassemblano decori, ornamenti, pezzi di iscrizione.

La caduta dell’impero aveva lasciato dietro a sé solo rovine, frutto della violenza ma soprattutto dell’incuria e dell’abbandono. Come bestie impaurite, i poveri avevano cercato riparo dentro gli antichi edifici ormai vuoti, e i nuovi potenti li avevano spogliati per ricavarne materiale per costruire nuove case lussuose. Ma senza un progetto, senza un disegno. Tutto era stato fatto sulla spinta del bisogno o del caso.

Ma non è il bisogno o il caso che spinge gli artefici del Clitunno e di Spoleto, ma come anche altrove i loro fratelli di Brescia o di Benevento, a ricercare e riportare allo splendore l’antico. È la voglia di ricrearlo, di riproporlo in una veste nuova.
Restaurano, i Longobardi. Costruiscono muri, reinnalzano colonne per edificare un tempio che è una chiesa per il loro nuovo credo, un punto di riferimento per la loro nuova comunità. Quando si trovano per le mani pezzi di statue, di fregi, di epigrafi li studiano per capirne l’originale funzione, e poi costruiscono edifici che li inglobano, come nuovi castoni che sorreggono preziose gemme di famiglia. Non è un semplice reimpiego di materiali, è una rinascita. Un nuovo ordine del mondo in cui Longobardi e Romani non sono più distinti ma formano un tutto armonico e connesso.
Classico, nel senso più profondo del termine, cioè qualcosa che travalica le epoche e unisce i popoli, divenendo modello. Classico perché ormai impregnati di cultura classica erano anche loro, i barbari non più barbari: i Longobardi.

Mariangela Galatea Vaglio

Dalla penna di Mariangela Galatea Vaglio e la regia di Marco Melluso e Diego Schiavo, il Video Racconto della Mostra.